Racconto di Occhio di Lince
La sabbia era bollente, il paesaggio davanti a loro stupendo; c’era una piccola spiaggia e poi non si vedeva altro che una gigantesca foresta. Il gruppo si inoltrò tra gli alberi; c’era un caldo infernale ed era pieno di insetti.
“Ehi!! C’è qualche cosa di nero che si sta muovendo là tra gli alberi” gridò James Swift.
Gli uomini si misero in allerta, mentre Spockback disse: “Forse hai solo visto la tua ombra”. Si sentiva un leggero fruscio ed uno scalpitare di passi. Ad un certo punto partirono frecce e lance dagli alberi; molti uomini morirono.
“Cerchiamo di raggiungere la nave” gridò Stockman, ma non fu ascoltato; il panico travolse gli uomini e ognuno cominciò a correre in direzioni diverse.
Stavo seguendo il capitano Stockman quando sentii una gran botta alla testa; caddi a terra e la vista mi si spense; ero svenuto.
Mi svegliai, sentivo ancora un gran dolore alla testa, non vedevo ancora molto bene e non capivo dove mo trovassi. Una strana persona entrò da una porta con le sbarre. Ora avevo capito, ci trovavamo in prigione. L’uomo parlò in una lingua incomprensibile, prese a forza due uomini e li portò fuori chiudendo a chiave la porta.
Finalmente riuscii ad alzarmi molto lentamente; ero sorpreso perché io ed i miei compagni rimasti eravamo stati lavati e puliti.
Fuori si sentiva un gran rumore di voci. Mi accostai fuori per vedere ciò che stava succedendo. Ad un uomo era stata messa una corona di piume in testa e stava ballando come un ubriaco.
“Ehi, uomini venite qui! Aiutatemi ad aprire la porta. James e Matt mi vennero ad aiutare.
“Che è successo a quell’uomo, ha bevuto?”, chiese Matt, ridendo.
“Non lo so, ma non voglio finire come lui”, risposi io.
“E’ impossibile aprirla Jack, è chiusa a chiave” mi disse James.
“Non per me” rispose Matt, tirando fuori un gancio metallico.
“Lo uso sempre per scendere dall’albero di vedetta e anche per aprire qualche porta!”. Lo mise nella serratura, lo girò a destra ed a sinistra e la porta si aprì.
“Forza ragazzi, andiamo”, mormorai io a bassa voce, rivolgendomi ai compagni seduti. Essi mi seguirono ma Spockback disse: “Aspettate! Dove volete andare! Non conosciamo la zona e se questi ci trovano ci ammazzano!”.
“Allora resta qui e fai la fine del tuo compagno, guarda!!”. Spockback si alzò per vedere. Il compagno era legato su di una tavola di pietra ed un uomo dall’aria importante teneva un pugnale in mano e glielo aveva conficcato nel petto.
“Ahhh…” le grida del poveretto erano strazianti, mentre l’uomo gli estraeva il cuore e lo sollevava, facendo colare il sangue in appositi canali che scorrevano giù dalla piccola collina. Tirò un calcio al cadavere che rotolò pure lui ed un gigantesco grido si alzò dalla folla degli indigeni.
“Allora vuoi fare la sua fine?!” gli dissi.
“Va bene vengo anch’io”, rispose Spockback.
Sgattaiolammo via, tra le case, in silenzio, sperando che non ci fosse nessuno. Proprio quando eravamo all’uscita del villaggio si sentì un rumore simile ad un allarme. La gente si spaventò, le madri presero in spalla i bambini e si rifugiarono in casa . Gli uomini, invece, presero le armi: lance con punta di selce e si nascosero in punti strategici del villaggio per tendere un’imboscata ai nemici quando sarebbero entrati.
Noi, intanto, eravamo acquattati nei cespugli, dove fortunatamente nessuno di loro si era nascosto. Dovevamo sfruttare questa opportunità per fuggire, anche se era pericoloso.
Se non fossimo riusciti a scappare ora avevamo solo due possibilità. Se avessero vinto gli abitanti del villaggio, dopo un po’ si sarebbero accorti che i prigionieri mancavano e ci avrebbero sicuramente scovato ed ucciso.
Se avessero vinto gli avversari saremmo diventati lo stesso prigionieri e ci avrebbero ucciso.
Una lancia mi sfiorò la faccia conficcandosi nel muro, risvegliandomi dalle mie riflessioni. L’esercito nemico era entrato.
“-Qual’è il piano Jack ?”, mi chiese James- “non possiamo restare qui”.
Aveva ragione, ma il resto dei compagni non voleva schiodarsi di un millimetro.
“Ragazzi, dobbiamo andarcene ora in qualche modo, se restiamo qui ci troveranno e ci uccideranno!
Sembrava avesse funzionato: si erano schierati tutti in fila indiana.
“Va bene Jack, guidaci” – mi disse una voce che non ero riuscito a riconoscere.
Camminavo piano, a quattro zampe e mi rifugiai dietro una casa e osservai le mura. Non erano molto alte, ma se ci fossimo arrampicati lì sopra ci avrebbero visto ugualmente. Purtroppo non c’era altra via. Se fossimo passati dalla porta principale ci avrebbero ucciso. Inoltre, dalle mura pendevano delle corde che sicuramente ci avrebbero aiutato.
“Allora ragazzi, l’unica via è arrampicarsi sulle mura e non importa se qualcuno ci vede, sarà troppo impegnato a combattere. Il pericolo è per la seconda facciata : lì probabilmente ci attendono i nemici. E ora via” !!!
Mi aggrappai ad una corda e salii velocemente. Quando fui in cima vidi per fortuna che dall’altra parte non c’era nessuno. Non resistetti alla tentazione di guardarmi alle spalle e vidi che molteplici facce mi guardavano mentre i loro corpi sanguinanti cadevano per mano delle lance nemiche. Non ne sapevo il motivo, ma mi sembrò che i nemici cercassero di fare meno morti possibile. Staccai subito lo sguardo e cominciai la discesa. Quando fui a terra dovetti aspettare i compagni, intanto l’attesa mi martoriava. Quando tutti fummo arrivati, cominciammo a correre verso ignote direzioni, cercando di allontanarci il più possibile da quel luogo. Non so quanto abbia corso, mezz’ora, un’ora, so solo che dopo mi arrampicai su di un albero con i miei compagni e mi addormentai.
Seconda parte
La mattina dopo mi svegliai all'alba con la schiena distrutta; non ero abituato a dormire su di un ramo. Scesi silenziosamente dall'albero per non svegliare gli altri. Mi guardai intorno e non potei fare a meno di notare, in lontananza, un sentiero ... un sentiero in mezzo al nulla? Impossibile!
Andai a vedere di che cosa si trattava. Quando arrivai vidi un'enorme strada sterrata. Chissà dove portava; eravamo nel bel mezzo di una foresta ? O forse no. Sentii un gran rumore di passi, stavolta molto diverso da quando ci avevano assaliti. Questa volta erano in molti. Mi nascosi dietro agli alberi e vidi arrivare un'armata con parecchi prigionieri; li riconobbi. erano gli assalitori del giorno prima, mentre le vittime erano i nostri vecchi carcerieri. Rimasi immobile, sperando che nessuno si accorgesse di me.
I prigionieri erano sconvolti, con gli occhi sbarrati, rivolti a terra, come se aspettassero di morire. Di sicuro il posto verso cui si dirigevano non poteva essere un piccolo villaggio - vista la moltitudine- ma una città.
Dovevamo seguirli ad ogni costo! La nostra nave probabilmente se ne era andata e noi non potevamo salvarci senza strumenti e viveri.
Quando l'esercito scomparve dietro ad una collina, corsi ad avvisare i miei compagni dell'accaduto . Spiegai loro quello che avevo visto e, dopo una lunga discussione, accettarono di seguirmi.
Jack ! - disse James - Avrei un'ultima domanda. Che cosa intendi fare quando saremo arrivati?
- Ancora non ne ho idea - risposi io- Ma so che non possiamo restare qui in eterno. Dobbiamo trovare il modo di tornare a casa e là forse c'è la nostra soluzione.
A questo punto ci mettemmo in marcia e camminammo per ore ed ore, con qualche breve pausa. Ad un certo punto, la foresta finì; al suo posto vedemmo una distesa sterminata di campi e davanti a noi la cosa più strabiliante che avessi mai visto in tutta la mia vita: la strada proseguiva fino ad una porta con strane effigie, punto d'entrata di un città gigantesca. Le mura, enormi, si perdevano a vista d'occhio e, probabilmente al suo centro, svettava un imponente tempio, grosso quanto una montagna, con una sfera blu, che rifletteva la luce del sole come una stella.
Restammo lì, immobili, abbagliati da tanto splendore. allo stesso tempo, intimoriti, ci chiedevamo come avremmo potuto salvarci. James ci riportò alla realtà :- E' ora di muoversi, Jack che facciamo?
- Guardate, ci sono dei lama laggiù carichi di sacchi di mais e paglia. Facciamo finta di essere dei contadini ed entriamo dal portone principale.
Così facemmo, e le guardie, una volta entrati, non ci osservarono più. Ci confondemmo tra la folla; ognuno prese direzioni diverse per perlustrare la città, con l'accordo che ci saremmo trovanti davanti alla grande piramide.
Dopo diverse ore ci ritrovammo nel punto stabilito. Sul fianco delle gradinate, che portavano sull'altare della piramide, c'era una porta, sorvegliata da due guardie, che permetteva l'accesso al piano terra. Improvvisamente, la porta si aprì ed uscirono degli uomini con viveri ed attrezzi. Era un magazzino!
Un'idea mi balenò veloce come un lampo: era il momento di agire!
Chiamai David e gli dissi che doveva avvicinarsi alle guardie con gli animali, come se dovesse depositare il carico nel magazzino. Questo le avrebbe distratte e avrebbe consentito a Michael e David di stordirle e legarle, per poi rinchiuderle all'interno del magazzino. Poi saremmo entrati per prendere ciò che ci serviva mentre David e James sarebbero rimasti a sorvegliare l'entrata .. Andò tutto liscio; così come progettato. Appena oltrepassai la porta vidi la nostra salvezza: avremmo potuto rifornirci di cibo e degli attrezzi per costruire una nave che ci avrebbe riportato a casa.
Uscimmo con i lama carichi di ciò che ci serviva, il tutto nascosto nei sacchi e tra la paglia sul dorso degli animali.
In quel momento si sentì un gong. Una folla si avvicinò vociante alla piramide; tememmo di essere scoperti, così ordinai agli uomini di uscire immediatamente dalla città e di aspettarmi alla porta, mentre io avrei cercato di capire cosa stesse succedendo.
Cercai un punto isolato, sul retro della piramide e, come per istinto, iniziai la mia scalata finché non fui in cima, sull'altare sacrificale. Strisciai dietro ad un obelisco e mi alzai; da lì si vedeva fino al mare. La mia attenzione si soffermò su di una baia dove era ancorata una nave. Non ci potevo credere, era la nostra nave!
Mi guardai intorno e vidi decine di oggetti d'oro e pietre preziose; ne presi una manciata e me le misi in tasca. Stavo quasi per scendere quando in un angolo osservai uno strano bagliore; guardando meglio vidi un oggetto trasparente. Sembrava un teschio, sì, era proprio un teschio, un teschio di cristallo. Pareva che mi guardasse, rimasi incantato a fissarlo, sembrava vivo, quasi magico; ne ero impaurito ma allo stesso tempo desideravo prenderlo, la sua lucentezza mi affascinava. Veloce lo afferrai e me lo legai con la cintura alla vita poi iniziai a scendere velocemente.
Avevo quasi raggiunto terra quando il sole divenne nero, non me n'ero accorto subito, ma eravamo nel pieno di un'eclissi. Questo imprevisto evento celeste agevolò la mia fuga. Dio mi voleva bene. Gli indigeni erano tutti inginocchiati con la fronte a terra a pregare. Io raggiunsi i miei compagni e li informai di ciò che avevo scoperto. Dopo tre ore di cammino, finalmente, arrivammo alla baia. Gli uomini di vedetta ci videro e calarono le scialuppe per trarci in salvo. Erano contenti anche loro di vederci; ormai i viveri scarseggiavano e noi avevamo portato la riserva che ci serviva per salpare.
Da parte mia, raccontai tutte le nostre peripezie al comandante Stockman, che non riusciva a credermi e pretendeva delle prove.
Ecco, allora tirai fuori il teschio di cristallo e tutti rimasero a bocca aperta, fissando quello strano oggetto che brillava di luce propria.
Il capitano, allora, diede l'ordine di ammainare le vele: si ritornava a casa! Eravamo scesi in sedici dalla nave e ritornammo in dodici.
A questa missione ne seguirono altre; noi fummo sempre presenti e possiamo dire con orgoglio dì' esserci stati quando si scopri che quella terra non era l'India, ma apparteneva ad un nuovo continente. Col passare degli anni un solo mistero rimase insoluto: che cos'era veramente il teschio? Dalle analisi fatte da parecchi uomini di scienza si stabilì che non assomigliava alcun oggetto plasmato dalle mani dell'uomo. Un'unica cosa scoprii nei viaggi che intrapresi nel "nuovo mondo", che il mio teschio di cristallo non era l'unico esistente; ce n'erano altri undici. Non lo so, forse noi dodici coraggiosi esploratori non eravamo capitati lì per caso, forse ... Questa però è un'altra storia.