Racconto (e disegno) di Mani di Neve
Lao si svegliò di soprassalto destato da tutta l'agitazione che c'era nella caserma principale di Tokyo. Si alzò, in tutta fretta indossò l’armatura da samurai, prese la sua katana e uscì dalla sua stanza.
Era successo qualcosa... e qualcosa di molto grave per causare tutto quel trambusto.
Lao andò verso il centro di comando, ma prima passò davanti alla statua del “Drago d’oro”, una copia quasi perfetta dell’originale, conservata in un monastero più a nord di Tokyo, ad Aomori. L’originale era considerata sacra da tutta la popolazione, e non era possibile vederla. Inoltre era interamente composta d’oro e ricoperta di pietre preziose. Il drago della caserma era solo rivestito di vernice dorata.
Il sogno più grande di Lao, insieme a quello di diventare generale, era quello di poter osservare l’originale e capirne tutti i segreti.
Arrivò al centro di comando, dove incontrò Meji, una ragazza molto abile a manovrare le armi… troppo abile. Sembra che Lao avesse sempre avuto un debole per lei.
Questa gli riferì l’accaduto: la statua del Drago d’oro era stata rubata da un gruppo di banditi!
Lao sentì un colpo al cuore.
-Tutto ciò che finisce nelle mani dei banditi è perduto!- disse il generale.
-E' la fine! La popolazione andrà in confusione.- disse Meji.
-In che direzione sono andati dopo il colpo?- chiese Lao.
-A sud- rispose il generale.
-Allora la statua verrà nascosta nei pressi di Kyoto: il monastero è più a nord di Tokyo, giusto?
-Giusto.
-Quindi se si sono diretti verso sud adesso saranno circa all’altezza di Tokyo. Domani raggiungeranno Kyoto e la nasconderanno lì.
-Come fai ad esserne certo?- chiese Meji.
-E' una città abbastanza lontano da Tokyo, ed essendoci una ribellione ad Akita, le nostre truppe sono tutte a nord. Inoltre là c’è il loro covo. Partiremo io ed una decina di uomini e cercheremo di recuperarla.
-Non so se sia una buona idea…- disse il generale.
-Tentare non nuoce.
-Va bene. Partirete domani all’alba.
-Verrò anch’io- disse Meji
-Una donna in battaglia?- disse il generale.
-Non mi sottovaluti, generale.
-Accordato. Partirete entrambi.
Partirono all’alba con dieci uomini, come stabilito. La leggera foschia e i ciliegi in fiore conferivano al paesaggio un’aria mistica. Si sentivano osservati e sapevano che, probabilmente, qualcuno era già sulle loro tracce. Si sentivano dei fruscii provenire dalla vegetazione, ma non si vedeva nessuno, come se degli esseri invisibili li stessero seguendo. Quando si fermarono ad un ruscello per riposarsi, si udì un fruscio più nitido, seguito da un urlo. Una ventina di uomini saltò fuori dalla boscaglia: un’imboscata.
Gli aggressori attaccarono prima i soldati, che furono sterminati in una mezzora, e i quindici banditi rimasti si diressero verso Lao e Meji. Meji dimostrò subito prontezza, estraendo la katana e cominciando a combattere contro un uomo alto e robusto, e non ebbe difficoltà a conficcargli la spada nel petto.
Lao, invece, ebbe qualche difficoltà a riprendere lucidità, e capì quello che stava realmente succedendo quando una spada lo colpì di strisco sul braccio sinistro, procurandogli comunque una profonda ferita. Un urlo riuscì a farsi strada dalla sua bocca ed uscì, potente e lacerante. I suoi sensi diventarono più acuti, come se quell’urlo lo avesse risvegliato, e allora cominciò a combattere, come non aveva mai combattuto.
La battaglia durò a lungo, ma Meji e Lao ebbero la meglio.
La ferita continuava a sanguinare, mentre Lao diventava sempre più pallido. Nei paraggi c’era un monastero, dove avrebbero potuto riposarsi e medicare le ferite, e per fortuna lo trovarono subito: Lao cominciava a non reggersi in piedi. Un monaco lo bendò e lo mise a riposo mentre Meji elaborava un piano. Stettero lì per una settimana, poi ripartirono.
I giorni passati al monastero, salvo ferite doloranti, furono indimenticabili per Lao. Perché? Ve lo dico subito.
Era l’ultimo giorno prima di lasciare il monastero, al tramonto. Lao era seduto su una balconata, che si affacciava sul monte Fuji. Sentì un rumore provenire da dietro di lui. Si girò di scatto, e vide che Meji era sul ciglio.
Lei voltò il viso imbarazzata e gli disse:
-Cosa ci fai qui?
-Avevo bisogno di riflettere- rispose Lao.
Meji gli si sedette di fianco
-Su che cosa?
-Non ce la faremo mai a recuperare la statua: quei banditi sono troppo forti! Hai visto tu stessa con che facilità hanno ucciso i soldati.
-Ce la potremo fare invece… insieme…
Detto questo, si avvicinò ancora di più a Lao, finche i due volti non si toccarono, in un bacio che, all’insaputa dell’uno e dell’altra, era stato sognato da anni.
Ora, l’unica imbarazzata non era Meji: anche Lao era diventato rosso.
Entrambi ripresero subito la serietà.
-Andiamo a riposarci, domani ripartiremo- disse Meji.
Ma entrambi sapevano che qualcosa era cambiato.
Arrivarono all’altezza del monte Fuji al tramonto. I ciliegi erano in fiore ed erano sulle sponde di un torrente: avevano ancora la sensazione di essere seguiti. Un fruscio, e un uomo balzò fuori dalla vegetazione, corse loro incontro urlando. Aveva lo stemma del capo dei banditi. Sfoderò la katana e trafisse Meji, poi sparì tra la vegetazione.
Per Lao, fu come se avessero trafitto lui stesso, e quindi provò a rincorrere l’aggressore, ma gli sfuggì subito: c’era quasi buio.
Meji era a terra, pallida debole… morta.
Lao provò a vedere se respirava, ma ormai non c’era più niente da fare.
Quell’attacco era durato solo pochi istanti, e in quel lasso di tempo aveva perso la sua compagna di viaggio, la sua amica, la sola persona che nella vita aveva veramente amato.
Una piccola lacrima uscì dagli occhi di Lao, piccola e titubante, seguita da altre, più grandi e decise, finchè non cadde in un pianto disperato.
L’avrebbe fatta pagare a quel capo… oh sì, se gliel’avrebbe fatta pagare… anche molto cara…
2^ parte
Quella notte trascorse lentamente, in bianco. La passò tutta a cercare la luna, la sua silenziosa guardiana.
La trovò: con il suo primo quarto splendeva alta e rassicurante nel cielo.
L’alba arrivò: doveva partire.
Coprì Meji con delle pietre e partì, ma prima di voltarsi e continuare il suo cammino, prese un fiore di ciliegio, e lo posò sopra alla lapide improvvisata.
Si rimise in cammino.
Inciampò più volte nel terreno, poiché aveva ancora in testa gli avvenimenti del giorno prima.
Mancavano ancora diversi giorni di cammino per arrivare a Kyoto: doveva accelerare.
Dopo qualche ora di cammino sentì un fruscio… non era solo.
Il cuore cominciò a battergli forte, i muscoli si tesero, pronti a colpire.
Scoppiò a ridere quando vide chi era il suo assalitore: un gatto. Da quanto non rideva…
Ciò che separava Lao da Kyoto era solo una settimana, ma i giorni trascorrevano lenti e le notti le passava guardando la luna, che lentamente cresceva.
Camminava, fermandosi a riposare solo alla notte e per mangiare di giorno: sarebbe arrivato fino in fondo, e alla svelta.
Le porte della città gli si presentarono davanti come un miraggio, il quinto giorno di cammino: ci aveva messo meno tempo del previsto.
Entrò: c’era poca gente in circolazione, e le poche persone che erano uscite di casa erano guardinghe e spaventate. La città era magnifica: le abitazioni con i tetti adornati da draghi, le torri della guardia… Le torri della guardia!
Quella città era in mano ai banditi! Riconosceva il simbolo sulle divise delle guardie!
Si avviò verso il cuore della città quando, pietrificato, si accorse di un manifesto, “Lao Zen, ricercato”, che riportava il suo ritratto. Non c’era ricompensa: la città era talmente terrorizzata che avrebbe fatto tutto gratuitamente, e sapevano che se l’avessero nascosto nelle proprie abitazioni avrebbero passato guai seri. Doveva allontanarsi dalle torri... stava per mettersi a correre, ma si rese conto che così avrebbe solo attirato l’attenzione.
Due abitanti stavano dialogando tra loro. Provò ad ascoltare se nelle loro parole c’era qualcosa di utile... eccome! Spiegavano il motivo per il quale cercavano lui: prima dell’attacco alla truppa, ancora all’inizio del cammino, un gruppo di banditi era andato alla caserma per togliersi dai piedi buona parte di guerrieri che erano contro di loro. C’erano riusciti, e avevano saputo del gruppo che era da poco partito. A quel punto qualche uomo era andato a portare la notizia a Kyoto, mentre il resto del gruppo si era lanciato all’inseguimento, poi era scoppiata la carneficina.
Sapevano quindi che lui era l’unico sopravvissuto.
“Questo spiega il manifesto” pensò.
Mentre pensava questo, qualcuno gli assestò un colpo sulla nuca, con il manico di una katana: non lo volevano morto... per il momento.
Si svegliò. La prima cosa che vide furono i raggi rassicuranti della luna, piena quella notte, che filtravano da una finestrella sbarrata della cella nella quale si trovava. Cosa faceva lì? Si mosse appena, e questo gli provocò un forte dolore, maggiore alla nuca, e a quel punto ricordò la città, il colpo, tutto. Non poteva stare lì immobile per sempre. Con un sforzo immane si mise a sedere. Una volta seduto il dolore diminuì, e diminuiva ancora mentre riacquistava lucidità.
Sentì dei passi provenire al di fuori della cella, che pochi secondi dopo si spalancò. Apparve il capo dei banditi, solo, con due katane in mano.
-Ti starai chiedendo perché sono da solo. C’è stato un attacco mentre eri privo di sensi: sono l‘unico sopravissuto. Seguimi - disse.
Lao si alzò e lo seguì obbediente: sarebbe stato poco onorevole sferrare un attacco alle spalle. Non era un vigliacco. I due percorsero una serie di corridoi, finché arrivarono in un cortile interno… un campo di battaglia.
Era luminoso: i raggi della luna rischiaravano l’ambiente e si riflettevano sull’enorme statua dorata ricoperta di pietre preziose a forma di drago…
Un luccichio metallico si diresse verso Lao, che afferrò al volo la katana che il campo dei banditi gli aveva passato. Non c’era bisogno di parole per capirsi: una sfida, uno contro uno, il più forte sarebbe sopravvissuto e avrebbe preso la statua.
Si posizionarono al centro della stanza, si inchinarono e il combattimento ebbe inizio, al cospetto della luna e della statua, argento e oro.
Il primo ad attaccare fu il capo dei banditi, con un fendente. Lao lo parò, ma fu sorpreso dalla forza di quel colpo. Ne sferrò un altro, sempre della stessa potenza, e a quel punto Lao capì che il capo dei banditi combatteva senza strategia, usando tutte le forze all’inizio: ne sarebbe rimasto ben presto privo.
E così accadde.
I suoi attacchi diventarono sempre più deboli e allora Lao cominciò ad attaccare più frequentemente. Infine un affondo andò a segno, dritto allo stomaco.
-Questo è per Meji- disse Lao.
Il capo dei banditi crollò a terra.
La luna splendeva alta, esattamente sopra Lao, e a lui parve di scorgere il sorriso di Meji.
Due settimane dopo, la statua tornò al suo posto, e Lao arrivò a Tokyo, alla caserma.
Dentro c’erano solo alcuni soldati. Appena lo videro uno di loro domandò:
-Chi prenderà il posto del generale ora?
Lao rispose:
-Lo farò io.
E tutto ritornò alla normalità, nessun trambusto di prima mattina alla caserma lo svegliò, e la statua rimase al suo posto, così come doveva essere.
Era successo qualcosa... e qualcosa di molto grave per causare tutto quel trambusto.
Lao andò verso il centro di comando, ma prima passò davanti alla statua del “Drago d’oro”, una copia quasi perfetta dell’originale, conservata in un monastero più a nord di Tokyo, ad Aomori. L’originale era considerata sacra da tutta la popolazione, e non era possibile vederla. Inoltre era interamente composta d’oro e ricoperta di pietre preziose. Il drago della caserma era solo rivestito di vernice dorata.
Il sogno più grande di Lao, insieme a quello di diventare generale, era quello di poter osservare l’originale e capirne tutti i segreti.
Arrivò al centro di comando, dove incontrò Meji, una ragazza molto abile a manovrare le armi… troppo abile. Sembra che Lao avesse sempre avuto un debole per lei.
Questa gli riferì l’accaduto: la statua del Drago d’oro era stata rubata da un gruppo di banditi!
Lao sentì un colpo al cuore.
-Tutto ciò che finisce nelle mani dei banditi è perduto!- disse il generale.
-E' la fine! La popolazione andrà in confusione.- disse Meji.
-In che direzione sono andati dopo il colpo?- chiese Lao.
-A sud- rispose il generale.
-Allora la statua verrà nascosta nei pressi di Kyoto: il monastero è più a nord di Tokyo, giusto?
-Giusto.
-Quindi se si sono diretti verso sud adesso saranno circa all’altezza di Tokyo. Domani raggiungeranno Kyoto e la nasconderanno lì.
-Come fai ad esserne certo?- chiese Meji.
-E' una città abbastanza lontano da Tokyo, ed essendoci una ribellione ad Akita, le nostre truppe sono tutte a nord. Inoltre là c’è il loro covo. Partiremo io ed una decina di uomini e cercheremo di recuperarla.
-Non so se sia una buona idea…- disse il generale.
-Tentare non nuoce.
-Va bene. Partirete domani all’alba.
-Verrò anch’io- disse Meji
-Una donna in battaglia?- disse il generale.
-Non mi sottovaluti, generale.
-Accordato. Partirete entrambi.
Partirono all’alba con dieci uomini, come stabilito. La leggera foschia e i ciliegi in fiore conferivano al paesaggio un’aria mistica. Si sentivano osservati e sapevano che, probabilmente, qualcuno era già sulle loro tracce. Si sentivano dei fruscii provenire dalla vegetazione, ma non si vedeva nessuno, come se degli esseri invisibili li stessero seguendo. Quando si fermarono ad un ruscello per riposarsi, si udì un fruscio più nitido, seguito da un urlo. Una ventina di uomini saltò fuori dalla boscaglia: un’imboscata.
Gli aggressori attaccarono prima i soldati, che furono sterminati in una mezzora, e i quindici banditi rimasti si diressero verso Lao e Meji. Meji dimostrò subito prontezza, estraendo la katana e cominciando a combattere contro un uomo alto e robusto, e non ebbe difficoltà a conficcargli la spada nel petto.
Lao, invece, ebbe qualche difficoltà a riprendere lucidità, e capì quello che stava realmente succedendo quando una spada lo colpì di strisco sul braccio sinistro, procurandogli comunque una profonda ferita. Un urlo riuscì a farsi strada dalla sua bocca ed uscì, potente e lacerante. I suoi sensi diventarono più acuti, come se quell’urlo lo avesse risvegliato, e allora cominciò a combattere, come non aveva mai combattuto.
La battaglia durò a lungo, ma Meji e Lao ebbero la meglio.
La ferita continuava a sanguinare, mentre Lao diventava sempre più pallido. Nei paraggi c’era un monastero, dove avrebbero potuto riposarsi e medicare le ferite, e per fortuna lo trovarono subito: Lao cominciava a non reggersi in piedi. Un monaco lo bendò e lo mise a riposo mentre Meji elaborava un piano. Stettero lì per una settimana, poi ripartirono.
I giorni passati al monastero, salvo ferite doloranti, furono indimenticabili per Lao. Perché? Ve lo dico subito.
Era l’ultimo giorno prima di lasciare il monastero, al tramonto. Lao era seduto su una balconata, che si affacciava sul monte Fuji. Sentì un rumore provenire da dietro di lui. Si girò di scatto, e vide che Meji era sul ciglio.
Lei voltò il viso imbarazzata e gli disse:
-Cosa ci fai qui?
-Avevo bisogno di riflettere- rispose Lao.
Meji gli si sedette di fianco
-Su che cosa?
-Non ce la faremo mai a recuperare la statua: quei banditi sono troppo forti! Hai visto tu stessa con che facilità hanno ucciso i soldati.
-Ce la potremo fare invece… insieme…
Detto questo, si avvicinò ancora di più a Lao, finche i due volti non si toccarono, in un bacio che, all’insaputa dell’uno e dell’altra, era stato sognato da anni.
Ora, l’unica imbarazzata non era Meji: anche Lao era diventato rosso.
Entrambi ripresero subito la serietà.
-Andiamo a riposarci, domani ripartiremo- disse Meji.
Ma entrambi sapevano che qualcosa era cambiato.
Arrivarono all’altezza del monte Fuji al tramonto. I ciliegi erano in fiore ed erano sulle sponde di un torrente: avevano ancora la sensazione di essere seguiti. Un fruscio, e un uomo balzò fuori dalla vegetazione, corse loro incontro urlando. Aveva lo stemma del capo dei banditi. Sfoderò la katana e trafisse Meji, poi sparì tra la vegetazione.
Per Lao, fu come se avessero trafitto lui stesso, e quindi provò a rincorrere l’aggressore, ma gli sfuggì subito: c’era quasi buio.
Meji era a terra, pallida debole… morta.
Lao provò a vedere se respirava, ma ormai non c’era più niente da fare.
Quell’attacco era durato solo pochi istanti, e in quel lasso di tempo aveva perso la sua compagna di viaggio, la sua amica, la sola persona che nella vita aveva veramente amato.
Una piccola lacrima uscì dagli occhi di Lao, piccola e titubante, seguita da altre, più grandi e decise, finchè non cadde in un pianto disperato.
L’avrebbe fatta pagare a quel capo… oh sì, se gliel’avrebbe fatta pagare… anche molto cara…
2^ parte
Quella notte trascorse lentamente, in bianco. La passò tutta a cercare la luna, la sua silenziosa guardiana.
La trovò: con il suo primo quarto splendeva alta e rassicurante nel cielo.
L’alba arrivò: doveva partire.
Coprì Meji con delle pietre e partì, ma prima di voltarsi e continuare il suo cammino, prese un fiore di ciliegio, e lo posò sopra alla lapide improvvisata.
Si rimise in cammino.
Inciampò più volte nel terreno, poiché aveva ancora in testa gli avvenimenti del giorno prima.
Mancavano ancora diversi giorni di cammino per arrivare a Kyoto: doveva accelerare.
Dopo qualche ora di cammino sentì un fruscio… non era solo.
Il cuore cominciò a battergli forte, i muscoli si tesero, pronti a colpire.
Scoppiò a ridere quando vide chi era il suo assalitore: un gatto. Da quanto non rideva…
Ciò che separava Lao da Kyoto era solo una settimana, ma i giorni trascorrevano lenti e le notti le passava guardando la luna, che lentamente cresceva.
Camminava, fermandosi a riposare solo alla notte e per mangiare di giorno: sarebbe arrivato fino in fondo, e alla svelta.
Le porte della città gli si presentarono davanti come un miraggio, il quinto giorno di cammino: ci aveva messo meno tempo del previsto.
Entrò: c’era poca gente in circolazione, e le poche persone che erano uscite di casa erano guardinghe e spaventate. La città era magnifica: le abitazioni con i tetti adornati da draghi, le torri della guardia… Le torri della guardia!
Quella città era in mano ai banditi! Riconosceva il simbolo sulle divise delle guardie!
Si avviò verso il cuore della città quando, pietrificato, si accorse di un manifesto, “Lao Zen, ricercato”, che riportava il suo ritratto. Non c’era ricompensa: la città era talmente terrorizzata che avrebbe fatto tutto gratuitamente, e sapevano che se l’avessero nascosto nelle proprie abitazioni avrebbero passato guai seri. Doveva allontanarsi dalle torri... stava per mettersi a correre, ma si rese conto che così avrebbe solo attirato l’attenzione.
Due abitanti stavano dialogando tra loro. Provò ad ascoltare se nelle loro parole c’era qualcosa di utile... eccome! Spiegavano il motivo per il quale cercavano lui: prima dell’attacco alla truppa, ancora all’inizio del cammino, un gruppo di banditi era andato alla caserma per togliersi dai piedi buona parte di guerrieri che erano contro di loro. C’erano riusciti, e avevano saputo del gruppo che era da poco partito. A quel punto qualche uomo era andato a portare la notizia a Kyoto, mentre il resto del gruppo si era lanciato all’inseguimento, poi era scoppiata la carneficina.
Sapevano quindi che lui era l’unico sopravvissuto.
“Questo spiega il manifesto” pensò.
Mentre pensava questo, qualcuno gli assestò un colpo sulla nuca, con il manico di una katana: non lo volevano morto... per il momento.
Si svegliò. La prima cosa che vide furono i raggi rassicuranti della luna, piena quella notte, che filtravano da una finestrella sbarrata della cella nella quale si trovava. Cosa faceva lì? Si mosse appena, e questo gli provocò un forte dolore, maggiore alla nuca, e a quel punto ricordò la città, il colpo, tutto. Non poteva stare lì immobile per sempre. Con un sforzo immane si mise a sedere. Una volta seduto il dolore diminuì, e diminuiva ancora mentre riacquistava lucidità.
Sentì dei passi provenire al di fuori della cella, che pochi secondi dopo si spalancò. Apparve il capo dei banditi, solo, con due katane in mano.
-Ti starai chiedendo perché sono da solo. C’è stato un attacco mentre eri privo di sensi: sono l‘unico sopravissuto. Seguimi - disse.
Lao si alzò e lo seguì obbediente: sarebbe stato poco onorevole sferrare un attacco alle spalle. Non era un vigliacco. I due percorsero una serie di corridoi, finché arrivarono in un cortile interno… un campo di battaglia.
Era luminoso: i raggi della luna rischiaravano l’ambiente e si riflettevano sull’enorme statua dorata ricoperta di pietre preziose a forma di drago…
Un luccichio metallico si diresse verso Lao, che afferrò al volo la katana che il campo dei banditi gli aveva passato. Non c’era bisogno di parole per capirsi: una sfida, uno contro uno, il più forte sarebbe sopravvissuto e avrebbe preso la statua.
Si posizionarono al centro della stanza, si inchinarono e il combattimento ebbe inizio, al cospetto della luna e della statua, argento e oro.
Il primo ad attaccare fu il capo dei banditi, con un fendente. Lao lo parò, ma fu sorpreso dalla forza di quel colpo. Ne sferrò un altro, sempre della stessa potenza, e a quel punto Lao capì che il capo dei banditi combatteva senza strategia, usando tutte le forze all’inizio: ne sarebbe rimasto ben presto privo.
E così accadde.
I suoi attacchi diventarono sempre più deboli e allora Lao cominciò ad attaccare più frequentemente. Infine un affondo andò a segno, dritto allo stomaco.
-Questo è per Meji- disse Lao.
Il capo dei banditi crollò a terra.
La luna splendeva alta, esattamente sopra Lao, e a lui parve di scorgere il sorriso di Meji.
Due settimane dopo, la statua tornò al suo posto, e Lao arrivò a Tokyo, alla caserma.
Dentro c’erano solo alcuni soldati. Appena lo videro uno di loro domandò:
-Chi prenderà il posto del generale ora?
Lao rispose:
-Lo farò io.
E tutto ritornò alla normalità, nessun trambusto di prima mattina alla caserma lo svegliò, e la statua rimase al suo posto, così come doveva essere.